Le emozioni si muovono. Tu resti.

(Riflessione sul filo dell’“io cosciente” in chiave olistica)

“Le emozioni non possono essere permanenti, per questo si chiamano emozioni: il termine deriva da ‘moto’, movimento. Si muovono, dunque sono emozioni… Un momento sei triste, il prossimo sei felice, adesso sei arrabbiato, dopo sei tranquillo. […] Non può essere questa la tua natura, perché dietro a tutti questi cambiamenti occorre qualcosa di simile a un filo che tenga tutto insieme.”

(Osho)

Nel mio lavoro come counselor olistico, queste parole mi ricordano ogni giorno quanto sia prezioso aiutare le persone a disidentificarsi dalle emozioni che vivono.

La sofferenza profonda nasce spesso non tanto da ciò che proviamo, ma dal fatto che ci identifichiamo con l’emozione.
Quando diciamo “sono triste”, “sono ansioso”, “sono arrabbiata”, cadiamo nell’illusione che quell’emozione sia la nostra identità.

Ma noi non siamo ciò che proviamo.
Provo rabbia, ma non sono la rabbia.
Provo tristezza, ma non sono la tristezza.
Provo paura, ma non sono la paura.

Le emozioni sono energia in movimento. Passano, si trasformano, a volte ritornano.
Ma ciò che resta, ciò che osserva tutto questo, è l’io cosciente: il filo invisibile che ci attraversa, la nostra essenza stabile, la presenza viva che non si lascia travolgere.

Le emozioni nella visione olistica: corpo, mente e spirito

Ogni emozione lascia un’impronta non solo nella psiche, ma anche nel corpo e nello spazio energetico che abitiamo.

La rabbia contrae, la tristezza appesantisce, la paura irrigidisce.
L’approccio olistico ci invita a sentire dove l’emozione si manifesta, ascoltare il messaggio che porta e integrare ciò che emerge su tutti i livelli: mentale, corporeo e spirituale.

Attraverso la consapevolezza possiamo restituire movimento all’energia bloccata, rilasciare ciò che opprime e tornare a un senso di presenza piena.

Rabbia, tristezza, paura: le emozioni che ci scuotono

Rabbia

È un’energia potente che può emergere da un confine violato, da un bisogno negato, da una ferita non vista.
Può assumere molte forme: ira, collera, furia, furore, sdegno, accanimento, astio, rancore, stizza.
Accoglierla con consapevolezza significa trasformarla in forza creativa.

Tristezza

È l’eco di qualcosa che si è perso, un invito al raccoglimento e alla delicatezza.
Si manifesta come: afflizione, avvilimento, mestizia, malinconia, depressione, infelicità, dolore, sconforto, sofferenza, abbattimento, demoralizzazione.
Accettarla apre uno spazio profondo di guarigione interiore.

Paura

Ci protegge, ci mette in allerta, ma può anche bloccare il nostro slancio vitale.
Si mostra come: angoscia, ansia, apprensione, costernazione, dubbio, fifa, panico, preoccupazione, sbigottimento, spavento.

Se riconosciuta, può diventare una guida saggia.

Disidentificarsi per ritrovare sé stessi

Disidentificarsi non significa respingere le emozioni, ma sentirle senza confondersi con esse.
È dire “sto vivendo questa emozione”, e non “sono questa emozione”.

È come guardare una nuvola attraversare il cielo: la noti, la riconosci, la lasci andare.
Tu sei il cielo. Non la nuvola.

Nel counseling accompagno le persone in questo viaggio: riconnettersi al proprio centro interiore, ascoltare il corpo, dare voce all’emozione, ma restare ancorati all’io cosciente — quel punto stabile e silenzioso da cui tutto può essere visto con chiarezza.

L’invito alla presenza

Quando impariamo a stare nel cuore dell’esperienza senza fonderci con essa, qualcosa dentro di noi si apre.
È il ritorno a casa: al centro, al respiro, a quel punto immobile da cui possiamo attraversare ogni emozione senza esserne travolti.

In quel luogo sacro, la vita può finalmente fluire, e noi possiamo viverla con uno sguardo più ampio, più umano, più vero.

 

Elisabetta